Mi sono trovato spesso a parlare della responsabilità civile di chi scrive online. I nostri tempi sono caratterizzati dalla facilità di espressione utilizzando la rete, e questo è senz’altro positivo e denota la capacità di una società di garantire la democrazia. Per questo è sempre importante garantire la libertà di espressione senza censure preventive.
Ma come tutte le opportunità mal gestite, questa possibilità può trasformarsi in un boomberang per chi incautamente pensa di poter scrivere ed agire online senza alcun freno inibitorio.
Un fatto è certo: chi scrive online fatti non dimostrabili o denigra ingiustamente le persone può essere perseguito civilmente e penalmente. Una eventuale causa civile porta alla condanna certa del denigratore.
Notizia recente è che anche Facebook può essere portatore di grane per chi passa il suo tempo sparlando delle persone, online. Leggete la notizia apparsa sul sito di Studio Cataldi e fatevi un’idea di quello che potrebbe accadere a chi pensa che sulla Rete è possibile fare di tutto…
Primizia assoluta in materia: avventati inserimenti di materiale e commenti a briglia sciolta su Facebook possono originare elevate richieste risarcitorie a titolo di danni non patrimoniali: lo afferma categoricamente il Tribunale di Monza in una pronuncia del 2 marzo 2010 con cui ha attribuito a favore di una ragazza, lesa in modo plateale nella reputazione e nell’onore dal suo ex fidanzato, l’importo di €15.000,00 per il “danno morale soggettivo inteso quale «transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima» del fatto illecito, vale a dire come complesso delle sofferenze inferte alla danneggiata dall’evento dannoso, indipendentemente dalla sua rilevanza penalistica”. Il convenuto aveva aggiunto ad una foto della giovane “postata” sul social network un commento inappropriato e non consono, menzionando addirittura difetti fisici (strabismo), psichici e preferenze sessuali della giovane che aveva conosciuto proprio, ironia della sorte, tramite il social network. Il pregiudizio che si origina da siffatte tipologie di condotte è pressoché inemendabile. Il Giudice Civile brianzolo, ch’è, salvo omonimia sempre possibile, il noto Dott. Piero Calabrò, famoso per l’attività di contrasto alla criminalità, non ha mancato di evidenziare che «coloro che decidono di diventare utenti …sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono”; ricorda il Presidente del Tribunale della Brianza che, al cospetto di tali intemperanze lessicali e di condotta, si configura il “rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto” per l’utilizzatore di Facebook. Talché, boutade ed amenità aggiunte per essere fruibili soltanto da una cerchia ristretta di amici sono suscettibili di enorme e diuturna propalazione in virtù dei meccanismi di diffusione e di amplificazione, del tipo del “tagging”, che equivale ad etichettare (dall’anglismo “tag”, appunto etichetta) i contenuti nell’oceanica messe informativa che offre internet. La fattispecie in disamina è stata reputata riconducibile alla previsione astratta di cui all’Art. 594 Codice Penale (ingiuria) ovvero in quella più grave di cui all’Art. 595 stesso testo (diffamazione) in considerazione del carattere pubblico del contesto che ebbe a ospitare tali gratuite divulgazioni coram populo.
Avv. Paolo M. Storani (civilista e penalista, dedito in particolare alla materia della responsabilità civile)
(Data: 12/04/2010 10.00.00 – Autore: Avv. Paolo M. Storani)
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_8288.asp
Approfondimenti:
La diffamazione è un reato strettamente connesso alla persona e al diritto all’onore di cui ogni individuo è titolare ed è previsto dall’articolo 595 c.p.. Esso dispone che chiunque, fuori dai casi di ingiuria, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, é punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032,00 €. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è la reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065,00 €. Quindi mentre il reato di ingiuria previsto dall’articolo 594 c.p. punisce chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente, il reato di diffamazione punisce chi offende l’altrui reputazione in modo “indiretto” parlando con più persone e riferendosi, appunto, a una persona che non è presente.