
E’ luogo comune pensare che molte evoluzioni industriali fagocitino ciò che è stato sino a quel momento. Pensiamo alle librerie, cannibalizzate da amazon, oppure i metodi di comunicazione, stravolti da Internet e le tante App che utilizziamo.
Ma non è sempre così, in alcuni ambiti l’impressione iniziale viene smentita dai dati a lungo termine.
Il settore discografico, ad esempio, è in netta risalita con fatturati miliardari oltre della metà generati dallo streaming. In pratica si è passati da una modalità di uso ad un’altra, senza interferire più di tanto sui fatturati globali.
E’ un bene? Insomma, luci ed ombre. Se i produttori possono tirare un respiro di sollievo, la catena distributiva offline un po’ meno perché oggi la musica si ascolta (quasi) sempre attraverso dispositivi ed app digitali.
Con la rivoluzione digitale cambiano anche le professioni della musica. Restano quelle tradizionali collegate alla creazione artistica e alla produzione, cambiano molto anche le forme di commercializzazione, promozione e marketing.
Anche le aziende discografiche storiche operano quasi esclusivamente attraverso piattaforme e cercano ancora personale sensibile ai gusti musicali.
Oggi anche l’industria musicale cerca competenze digitali o digital skills, l’insieme di abilità di base tipiche dell’ICT. Insomma, cambia molto nello scenario discografico.
Rimangono quindi a bocca asciutta solo i negozianti, rimasti pochissimi ed altamente specializzati. E’ lo scotto da pagare, purtroppo.