Le fake-news, spiegate semplicemente.

Un fenomeno osservato e stranamente non combattuto come si dovrebbe facendo perdere la credibilità dell’intero comparto.

Vediamone, forse, il perché.

Tutti noi oramai ci imbattiamo in notizie di dubbia provenienza, pubblicate sui Social e poi rilanciate dai servizi di messaggistica istantanea. E molti purtroppo danno credito a causa di meccanismi indotti di carattere sociologico e di costume.

I nostri genitori un tempo erano frequenti affermare “Eh , l’ha detto la TV, quindi è vero” quando si riportavano notizie eclatanti o comunque di una certa importanza.

Il meccanismo che ha permesso la diffusione virale delle fake-news è molto simile: l’autocelebrazione di ciò che si vede (stampato, in TV o sulla rete) permette di considerare affidabile qualunque contenuto, perlomeno da parte di quelle persone che non si pongono molti problemi di critica in ciò che leggono.

I creatori di Fake News professionisti conoscono molto bene questi meccanismi, e li sfruttano sapientemente. Perché?

I motivi dell’esistenza delle Fake News.

Ovviamente, il primo dei motivi è…per fare soldi.

Quando si arriva a leggere queste notizie, sono pubblicate insieme a pubblicità erogate dalle varie piattaforme. I gestori di questi portali, alcuni con nomi creati ad arte (Il Fatto Quotidaino, Il Primato Nazionale, Viral Magazine sono solo alcuni di questi) percepiscono un piccolo introito quando qualche lettore (spesso per sbaglio) clicca su una di queste pubblicità.

Per raggiungere però un risultato economico accettabile, hanno necessità di decine di migliaia di visite a queste loro pagine, perché gli introiti percepiti per click sulla pubblicità sono spesso minuscoli, nell’ordine di pochi cent, a volte uno solo.

Ed ecco che per raggiungere l’obbiettivo si creano notizie, le più strane e false possibili, proprio perché se la notizia fosse reale, non avrebbe lo stesso risultato di una strana, fortissima e falsissima Fake News. I gonzi ci cascano ed aiutano i gestori condividendo, facendo girare la notizia falsa, convinti che sia vera.

Certo, qualcuno a questo punto potrebbe pensare che questa categoria di lettori fanno parte di quella definita quale Analfabeti Funzionali (più brevemente, AF), ma io la penso diversamente.

Non si può certo far finta che una grande parte di chi oggi utilizza i social non si ponga grandi dubbi e prenda per oro colato ciò che legge. Questi soggetti potrebbero senz’altro essere definiti AF.

Ma alcune notizie sono costruite con grande impegno ed analisi dell’attuale società, cercando argomenti di interesse comune, più o meno costruiti ad arte.

Prendiamo ad esempio il tema del COVID-19, un tema scottante che è stato oggetto di milioni di ricerche in rete.

E’ giusto pensare in questi casi, a mio avviso, che i lettori non possano aver commesso molti errori leggendo e condividendo notizie, anche le più palesemente false.

La media dei lettori Italiana non è costituita da persone con cultura elevata, ma questa non può essere una colpa. Se in un momento emergenziale si legge una notizia tragica, quale ad esempio che il virus si trasmette con l’acqua del rubinetto (realmente diffusa!) la colpa è al 90% di chi mette in giro idiozie per trarne vantaggio. Non vi sono dubbi a riguardo.

Altra analisi interessante riguarda la creazione di Fake News per orientare il pubblico ideologicamente. Il principio è sempre lo stesso: si creano notizie di un certo tipo per ottenere un vantaggio. In questo caso ancora più mellifluo e subdolo, lo scopo è quello di creare una corrente di pensiero per orientare preferenze politiche: se vogliamo uno scopo ancora più deprecabile rispetto a quello economico.

Basta poco per non contribuire alla diffusione di fake news: innanzi tutto non dare per scontato che tutto ciò che appare scritto sia vero, attivare un minimo di spirito critico e non condividere nulla che non sia più che verificato.

Questo delle Fake news è un fenomeno che appare quasi impossibile da arginare. Nonostante esistano da tempo normative e Leggi (soprattutto per quanto riguarda la cd “diffamazione”) , l’Utente Medio non crede che sia un reato contribuire a diffondere notizie false. E che anche se la notizia non fosse davvero reale, a suo avviso lo potrebbe anche essere.

E quindi, aggiungo, anche dimostrare un pizzico di intelligenza in più in questi casi aiuterebbe molto.

Telelavoro, impara l’arte e mettila da parte.

L’allarme per il nuovo Coronavirus ha portato alla ribalta, tra le altre cose,la possibilità di limitare i contatti interpersonali lavorando da casa. Il nostro Paese non è ancora pronto, come mentalità, per questo passo, ma l’occasione è ghiotta per parlarne e approfondire.

Italia, Paese di viaggiatori e illustre menti, si e’ trovato improvvisamente a dover fronteggiare un nuovo nemico rappresentato da un Virus dalle caratteristiche violente e forse pandemiche. Molti parlano del Telelavoro quale alternativa per limitare i contatti e quindi le infezioni, ma ci è noto che le caratteristiche del nostro Popolo non si prestano facilmente a permettere il lavoro da casa. Perché?

Come accade per i costi assicurativi e in molti altri contesti, l’italiano spesso approfitta di situazioni che permettono un’agevolazione, diciamo così, furba. Il tasso di frodi nel settore assicurativo in Italia è tra i più alti in Europa, così le compagnie assicurative sono costrette ad aumentare i costi per recuperare le perdite.

Il Telelavoro impone un altro tasso di fiducia tra il datore di lavoro e il lavoratore. Si rimane a casa e si dovrebbero svolgere i compiti che nel luogo di lavoro spesso viene imposto dal superiore. Va da se che se non vi è un buon rapporto di fiducia, il datore di lavoro avrà sempre il dubbio che non venga garantito lo stesso impegno rispetto al posto di lavoro in ufficio.

Personalmente ritengo che questo sia oramai un luogo comune, ma ascoltando imprenditori e dirigenti, l’idea che sia quasi un mio pensiero personale spesso viene superato dai fatti: non vi è molta fiducia.

Eppure il lavoro da casa per molti ambiti rappresenterebbe una enorme occasione per ridurre inquinamento, traffico e inutili costi. Certo, non tutti i lavori lo permettono, se è necessaria l’opera manuale del dipendente, ovviamente non si può pensare di lasciarlo a casa.

Ma molti altri compiti sono assolutamente compatibili. Pensiamo a tutti i compiti d’ufficio dove è possibile delegare in altro luogo, ma anche servizi di customer care, di consulenza, di redazione di documenti.

Oggi le tecnologie oramai permettono con estrema semplicità di remotizzare il proprio desktop, il proprio interno telefonico, i documenti necessari per svolgere il lavoro, tramite il Cloud tutto ciò oramai è davvero alla portata di tutti.

E allora, cerchiamo di sfruttare l’occasione per il nostro Paese, diamo fiducia ai colleghi e dipendenti e proviamo, vista la situazione, a lasciare a casa quei lavoratori per i quali è possibile delegare i loro compiti e proviamo a verificarne la resa e l’affidabilità.

Gli strumenti esistono, i costi sono limitati se non quasi del tutto assenti. Non abbiamo più scuse.

Disponibile il token fisico di Google, Titan.

Che il problema della sicurezza sia sentito e preoccupante, ci è noto. O almeno è conosciuto da chi la Rete la usa per lavoro, seriamente. Ma per molti, usare password facili da identificare, o condividere i propri dati, rappresenta la normalità.

Eppure di notizie se ne sentono di ogni tipo, ma ancora evidentemente non è stato sufficiente per creare la corretta sensibilità verso la garanzia e la protezione dei nostri Account.

Ci viene in aiuto, come spesso accade, da Google con un dispositivo avanzato che permetterà l’accesso ai propri account solo se in possesso di questa chiavetta USB.

Certo,essere dipendenti da un “oggetto” per poter accedere ai servizi online può apparire come un passo indietro. Ma è lo scotto da pagare per avere la quasi assoluta certezza di non vedere i propri account, specie se di manager o responsabili di rete o di sistemi, in mano a malintenzionati.

Google ci spiega il loro funzionamento:
“I token di sicurezza Titan sono dispositivi di autenticazione a due fattori (2FA) resistenti al phishing che aiutano a proteggere utenti di alto livello, come ad esempio gli amministratori IT e i dirigenti. I token di sicurezza Titan sono compatibili con i dispositivi e browser più conosciuti e con un ecosistema in continua espansione di applicazioni che supportano gli standard FIDO. Integrano un chip hardware che include un firmware sviluppato da Google per la verifica dell’integrità del token. I token di sicurezza Titan sono disponibili sul Google Store in Canada, Francia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti (al momento la chiave USB-C è disponibile solo negli Stati Uniti). In taluni casi è possibile anche usufruire di ordini e prezzi all’ingrosso.
I token di sicurezza Titan integrano un chip hardware che include un firmware sviluppato da Google per la verifica dell’integrità del token. In questo modo potrai avere la certezza che i token non siano stati fisicamente manomessi.

Ecosistema aperto

I token di sicurezza Titan sono compatibili con i dispositivi e i browser più conosciuti e con un ecosistema in continua espansione di servizi che supportano gli standard FIDO. Un token di sicurezza può essere utilizzato per eseguire l’accesso in diversi servizi professionali e/o personali.

Tecnologia incorporata nei più recenti telefoni Pixel

La tecnologia basata sul token di sicurezza Titan adesso è incorporata sui telefoni Pixel 4, Pixel 3 e Pixel 3a, che ora dispongono di un chip di sicurezza Titan M antimanomissione. In questo modo puoi utilizzare comodamente il telefono per proteggere gli Account Google di lavoro e personali.

Per approfondire: https://cloud.google.com/titan-security-key?hl=it

Italiani, popolo di impavidi pirati?

Notizia fresca di queste ore, 223 indagati che rischiano pene fino ad 8 anni di detenzione per aver utilizzato sistemi atti a fruire le piattaforme Pay-Tv senza pagare il relativo canone. Quale è il vostro pensiero?

Lasciando da parte le scuse scontate (costa troppo, tutti ladri, i programmi non sono interessanti ecc) quale è il vostro parere? è giusto far pagare anche ai fruitori di questi sistemi di pirateria?

La Legge non ammette ignoranza, nemmeno su reati percepiti dai più come poco più che marachelle. Non pagare per un servizio, qualunque esso sia, equivale , di fatto, a rubarlo. Ce ne dobbiamo fare una ragione e una volta per tutte capire che quello che per tanti anni ci hanno fatto credere, cioè che su internet deve essere ed è tutto gratis, non è vero.

La gravità del reato è sempre relativa, non si può pensare che vista l’esiguità del costo mensile, è permesso “rubarlo”, non può essere così. Se lo fosse, si arresterebbero gli investimenti in tecnologie, in dipendenti, si fermerebbe il futuro. Si, anche mancando i 50 euro dell’abbonamento trafugato con leggerezza dal signor Rossi, convinto dall’amico “furbo” che si vede Sky a casa senza pagarlo.

L’altro aspetto, tutto Italico, è rappresentato dal gusto che alcuni provano nell’avere qualcosa con destrezza e furbizia, senza pagarlo. Si perché a loro i 50 euro non sarebbero un problema pagarli, ma vuoi mettere la soddisfazione di dire all’amico che lui è “furbo” e non paga…

Insomma, quello che dobbiamo capire e farlo divenire il nostro pensiero convinto, è che non vi potrà essere alcuno sviluppo ne un futuro se il nostro popolo continuerà a razziare servizi.

Il nuovo CoronaVirus impatterà sull’utilizzo e lo sviluppo delle nuove tecnologie?

Di certo il Mondo non passerà indenne dall’ondata di terrore che questo nuovo Virus sta instillando. Ne soffrono (e molto) già l’industria dei viaggi e vacanze ma non ci fermeremo qui, purtroppo.

Oltre alle inevitabili perdite umane che questo virus sta provocando, stiamo assistendo ad un progressivo allargamento delle problematiche indirette: le fabbriche in Cina sono quasi ferme con ritardi negli approvvigionamenti dei componenti da parte dei produttori di apparecchiature di vario tipo.

La diffusione poi di notizie poco rassicuranti e con molta probabilità esagerate quali il rischio di contrarre l’infezione dai prodotti di provenienza cinese (poco importa se già sul territorio europeo da mesi, il terrore non fa sconti) introduce ancora altri elementi a sfavore del commercio e utilizzo di prodotti asiatici.

Tutto ciò potrà portare discapito all’innovazione della quale le nostre aziende hanno davvero molto bisogno? La risposta è scontata, se si insisterà nel terrore verso i prodotti di elettronica ed informatica che oramai al 99% provengono dalla Cina, non si potrà che assistere ad una ancor maggiore diffidenza nei confronti di chi cerca di innovare e portare nuovi modelli di sviluppo in azienda, spesso accompagnandolo con l’introduzione di elementi tecnologici necessari.

Porto un solo esempio su tutti, un’azienda che avrebbe dovuto installare una ventina di interruttori intelligenti per automatizzare alcune funzioni operative in azienda. Questi prodotti ovviamente provengono dalla Cina, ebbene quest’azienda ha deciso di interrompere questa installazione solo per paura che gli oggetti portati presso di loro li potessero infettare. Spiegare che questi prodotti sono in Italia da mesi, non è servito a nulla.

Quindi, si la risposta al quesito iniziale è affermativo. Ma forse solo perché non siamo sufficientemente evoluti per accettare nuova innovazione.

Industria discografica in netta ripresa. Nonostante Spotify. O grazie ad essa?

E’ luogo comune pensare che molte evoluzioni industriali fagocitino ciò che è stato sino a quel momento. Pensiamo alle librerie, cannibalizzate da amazon, oppure i metodi di comunicazione, stravolti da Internet e le tante App che utilizziamo.

Ma non è sempre così, in alcuni ambiti l’impressione iniziale viene smentita dai dati a lungo termine.

Il settore discografico, ad esempio, è in netta risalita con fatturati miliardari oltre della metà generati dallo streaming. In pratica si è passati da una modalità di uso ad un’altra, senza interferire più di tanto sui fatturati globali.

E’ un bene? Insomma, luci ed ombre. Se i produttori possono tirare un respiro di sollievo, la catena distributiva offline un po’ meno perché oggi la musica si ascolta (quasi) sempre attraverso dispositivi ed app digitali.

Con la rivoluzione digitale cambiano anche le professioni della musica. Restano quelle tradizionali collegate alla creazione artistica e alla produzione, cambiano molto anche le forme di commercializzazione, promozione e marketing.
Anche le aziende discografiche storiche operano quasi esclusivamente attraverso piattaforme e cercano ancora personale sensibile ai gusti musicali.
Oggi anche l’industria musicale cerca competenze digitali o digital skills, l’insieme di abilità di base tipiche dell’ICT. Insomma, cambia molto nello scenario discografico.

Rimangono quindi a bocca asciutta solo i negozianti, rimasti pochissimi ed altamente specializzati. E’ lo scotto da pagare, purtroppo.

Il rischio più grande all’orizzonte? L’analfabetismo funzionale dei ragazzi.

Si parla ovunque di “futuro”, dei grandi programmi applicati ed applicabili nei più disparati reparti della nostra Società. Investimenti, sviluppo,crescita, sono temi che riempono i giornali di ogni tipo.
Sembrerebbe la spia di una coscienza acquisita rispetto al futuro, che appartiene, almeno per quello più o meno imminente, ai cd “Millennials“.

Poi, irrompe una indagine nata con altri scopi, che però pugnala gli addetti, perlomeno quelli dotati della quantità sufficiente di scrupolo, perché risulta che solo un ragazzo su 20 è in grado di distinguere tra fatti ed opinioni ed ha gravi difficoltà nel comprendere ciò che legge.

Non so se è chiaro il risultato di questa indagine: in pratica si afferma che (quasi) tutti i ragazzi di oggi, che tra 10 anni potranno divenire politici, capitani d’industria, leader ma, soprattutto, che tra poco voteranno, non riescono a capire la differenza tra un fatto reale accaduto, e un’opinione dello stesso fatto.

Per semplificare ulteriormente (magari uno di loro sta leggendo) questi ragazzi, leggono ma non comprendono ciò che hanno appena letto!

Apatia? Sindrome da smartphone? Noia? Possibile che il corpo insegnante non si sia reso conto di questo disastro per tempo inserendo programmi di studio per recuperare questo aspetto terrificante?

Non so voi, io rimango basito da questi risultati, credo che al di là delle problematiche contingenti, pressanti del nostro Paese relativi all’occupazione, la crisi economica, la casa ecc, non preoccuparsi di ciò che potranno fare i futuri adulti mi sembra il più grave delitto si possa infliggere ad un’Italia già troppo disastrata.

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